Citando la mia ex-portiera: «se nun ci fosse l’ignoranzità si starebbe tutti mejo a ‘sto monno». Quanta contradditoria saggezza in questa affermazione. In campo enogastronomico “l’ignoranzità”, o peggio, la mala informazione è sempre più dilagante.
Pochi anni addietro, prima dell’esplosione della tipicità italiana, il lardo di Colonnata poteva arricchire il desinare di benestanti signorotti e viziosi gourmet. Oggi, anche se spesso non si sa di cosa si parla, è sulla - e nella - bocca di tutti. Prima dell’avvento di esperti enologi nella conduzione dei vigneti, il vino in tavola, quello vero, schietto, sincero, fatto coll’uva, senza medicine, spesso ’gnorante o der contadino, sapeva di bisolfito se non d’aceto. Oggi, finalmente, si comincia a chiedere a gran voce il vino bbono, quello docche.
Da dietro il bancone di un’enoteca, sentendo questo ed altro, ho pensato di raccogliere e commentare queste autentiche perle d’ignoranzità, sperando di riuscire quantomeno a sfogarmi, a farvi divertire e forse a spiegare qualche oscuro concetto del mondo del buon bere e del buon mangiare.
Vorrei un Brunello sui 5 euro
Anch’io l’ho sempre desiderato, ma - speculazioni a parte - ciò è impossibile poiché il “Brunello di Montalcino” è uno dei disciplinari più severi d’Italia ed impone una serie di regole che costringe i “poveri” produttori di Montalcino a ridurre la resa dei vigneti: massimo 80 quintali ad ettaro, rapporto uva-vino del 68%, almeno due anni in contenitori di rovere, siano botti o barrique, affinamento minimo quattro mesi in bottiglia, sei per la riserva. Poi dentro ci metteranno di tutto, ma caro è caro ...
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